Biografia Pedro Almodovar

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Uno dei più importanti ed acclamati cineasti spagnoli. Di fama internazionale, considerato da molti l’erede di Luis Buñuel, questo “enfant terrible” iberico, ha saputo nell’arco di quarant’anni di carriera, raccontare la vita con tutte le sfumature delle sue assurdità, venandole di una corrosione e di una provocazione tali da scendere in aspetti tragici o comici (la cui distinzione è labile e fuggevole, perfino allo spettatore). Le sue sceneggiature sono originali, ritmiche e piene d’invenzioni, mentre la sua direzione è tale da creare a ogni pellicola una famiglia d’attori (piuttosto che un cast), riuscendo comunque a dirigerli in un preciso universo poetico. Il cinema di Almodovar è quello di qualcuno che ama la sua vita, una sarabanda grottesca divertita e feroce.

Le origini
Nato a Calzada de Calatrava, un piccolo paese della poverissima La Mancha, all’età di otto anni emigra con la famiglia a Estremadura. A dieci anni, entra in una scuola cattolica dove assisterà agli abusi dei salesiani sui suoi compagni di studio. Lo shock dell’esperienza lo allontanerà dalla Chiesa e dall’idea di proseguire la sua istruzione. Nel 1968 arriva a Madrid in cerca di fortuna e diventa un ambulante nel mercato per le pulci di El Rastro. Autodidatta (Almodovar non ha mai studiato cinema perché la sua famiglia era troppo povera per permettersi un’istruzione del genere), ha subito la dittatura di Franco che comportò la chiusura delle scuole di cinema all’inizio degli anni Settanta.
Dopo essere stato un ambulante, eccolo centralinista per dodici lunghi anni in una compagnia telefonica e, con i risparmi dei suoi stipendi, compra finalmente una cinepresa Super 8.

L’esordio nel mondo del cinema
Dal 1972 al 1978 comincia a girare dei cortometraggi aiutato da alcuni suoi amici, il suo nome diventa facilmente e rapidamente famoso negli ambienti underground e lui entra nel movimento culturale pop della Madrid di quegli anni, LA MOVIDA, diventandone una star. Sarà, infatti, con la Compagnia Los Goliardos che comincerà a formarsi cinematograficamente, esercitandosi anche nella scrittura di racconti (che saranno pubblicati con notevole successo).
Nel 1980 dirige il suo primo film Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio cominciando a regalare fortuna e fama a quelle che saranno le grandi dive del cinema spagnolo: Carmen Maura, Cecilia Roth e Julieta Serrano.
Inoltre, forma anche duo rock “Almodòvar & McNamara”, di cui sarà cantante e leader: una bizzarra e leggendaria personificazione musicale de LA MOVIDA madrilena. Nel 1982 torna al cinema con il suo film Labirinto di passioni, una delle sue commedie preferite.

Il fenomeno Almodovar
Nel 1987 lui e suo fratello Agustìn Almodòvar costituiscono la casa di produzione: El Deseo, S.A. Il “fenomeno Almòdovar” comincia ad essere ricercato in tutto il mondo. Il suo successo sarà bissato con: Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), Légami (1990), Tacchi a spillo (1991) e Carne Tremula (1997).
A lui si devono la fama di Antonio Banderas a livello mondiale, quella di Marisa Paredes a livello europeo e quelle di Rossy de Palma, Victoria Abril, Penélope Cruz, Miguel Bosé e tanti altri.
Tantissimi sono gli interpreti non iberici che vogliono e hanno lavorato con lui: Peter Coyote, Angela Molina e la nostra Francesca Neri, solo per citarne alcuni.
Il suo cinema è scatenato, trasgressivo, imperdibile, sensuale: un mix di emozioni che si insinuano in ogni sequenza, in ogni carrellata, in ogni primo piano e solo per raccontare la vita nella sua provocazione più spinta, nelle passioni più sfrenate e nell’esaltazione dei sensi. Le sceneggiature sono solari, travolgenti, eccezionali, mettono a nudo la mediterraneità, il calore e l’ironia di una Spagna che per troppo tempo è stata artisticamente repressa e che ora esplode nei suoi impulsi più perversi, nelle sue pulsioni più segrete, in tutte le sue nevrosi e debolezze. In una sola parola tutto il suo cinema è magistrale. E così tutti i suoi graffi, tutti i suoi istinti non passano certo inosservati.

Il successo di Tutto su mia madre
Nel 1999 dirige il suo capolavoro, il pluripremiato Tutto su mia madre. La sua storia più triste: quella di una donna che perde il figlio in un incidente e si ritrova ad elaborare il lutto e allo stesso tempo a fare i conti con il suo passato (a lungo tenuto nascosto al figlio). Mai visto un intero cast in stato di grazia: Pénelope Cruz, Cecilia Roth, Marisa Paredes, Candela Peña, Antonia San Juan (da mito del cinema il suo personaggio di Agrado) e Rosa Maria Sarda. Mai visto un film più perfetto, il grottesco lascia spazio all’eleganza e alla raffinatezza, il cinema di Almòdovar dopo aver narrato la gioia della vita, si fa il suo opposto: il dolore. Ma è un dolore controllato, non esagerato, espressivo, reale, mai troppo amplificato. Le sue inquadrature si arricchiscono di dettagli, di nuove prospettive, il “consumismo eccentrico” è sostituito dalla critica contro la televisione. Rimangono i colori vivissimi, lo stile significativo e le bellissime inquadrature agli attori. Tutti aspetti che ritroveremo nelle pellicole successive.
La pellicola entra di diritto nella storia del cinema, Almodòvar vince il César, il David di Donatello, il Golden Globe e l’Oscar come miglior film straniero. Pedro diventa un mito, dedica il film alla madre scomparsa (che fece anche alcune comparsate nelle pellicole del figlio) e continua a dare sfogo alla sua creatività.

Gli ultimi anni
Nel 2002 esce nelle sale Parla con lei che vince l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale, poi uno dei pochi film interpretato da soli maschi: La Mala Educacion (2004) e un ritorno alle donne nella tragicommedia Volver – Tornare (2006), un film tributo alle dive del cinema italiano (in particolare a Sophia Loren e Anna Magnani) con le ritrovate Penélope Cruz e Carmen Maura.
La Cruz tornerà anche in Gli abbracci spezzati, film omaggio al cinema del passato attraverso la struggente storia di un regista cieco. Nel 2011 torna a Cannes per presentare il suo nuovo lavoro, con un ritrovato Antonio Banderas nei panni di uno scienziato ai limiti della morale: La pelle che abito. Nel 2013 torna alla commedia con Gli amanti passeggeri, ambientato tra la variegata umanità a bordo di un aereo che vola da Madrid a Città del Messico.
L’assurdo, con Almodòvar, si tinge di normalità, l’uso del kitsch persiste, mentre i sentimenti sono quelli della gente comune… L’arte di questo grande regista sta nell’abilità di riflettere la realtà in maniera deformata, ma sempre attinente al nostro quotidiano, seducendoci.

Filmografia

Folle… folle… folle Tim! (Folle… folle… fólleme Tim!) (1978), cortometraggio
Salomé (1978), cortometraggio
Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón) (1980)
Labirinto di passioni (Laberinto de pasiones) (1982)
L’indiscreto fascino del peccato (Entre tinieblas) (1983)
Che ho fatto io per meritare questo? (¿Qué he hecho yo para merecer esto?) (1984)
Matador (1986)
La legge del desiderio (La ley del deseo) (1987)
Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios) (1988)
Légami! (¡Átame!) (1990)
Tacchi a spillo (Tacones lejanos) (1991)
Kika – Un corpo in prestito (Kika) (1993)
Il fiore del mio segreto (La flor de mi secreto) (1995)
Carne tremula (Carne trémula) (1997)
Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre) (1999)
Parla con lei (Hable con ella) (2002)
La mala educación (2004)
Volver (2006)
Gli abbracci spezzati (Los abrazos rotos) (2009)
La pelle che abito (La piel que habito) (2011)
Gli amanti passeggeri (Los amantes pasajeros) (2013)

Tutto su mia madre

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Manuela (Cecilia Roth), lavora da infermiera in un ospedale di Madrid, vive sola e ha un figlio, Esteban, diciassettenne appassionato di teatro. La sera del compleanno del figlio, Esteban muore investito da un auto; allora Manuela decide di lasciare Madrid e andare a Barcellona a cercare l’uomo che diciotto anni prima la mise incinta, che intanto ha cambiato sesso e si fa chiamare Lola.
Nella sua ricerca però Manuela incontra diverse donne, tra cui la suora Rosa (Penelope Cruz) e l’attrice Huma, e dai loro incontri queste donne rifioriranno, come la stessa Manuela.
Film del 1999 diretto dal maestro del cinema spagnolo Pedro Almodovar (“Parla con lei”, “Volver”, “La pelle che abito”, “Carne Tremula”) e che gli valse un Oscar per il miglior film straniero.
Questo è un film indescrivibile a parole, dato che la trama si sviluppa in maniera non sempre lineare, tirando in gioco tantissimi personaggi, ognuno ben caratterizzato nei suoi limiti, nei suoi difetti ma anche nei suoi pregi.
Questo film è pieno di citazioni, come solo Almodovar sa fare, dal teatro de “un tram chiamato desiderio”
Fino ad arrivare al di “Eva contro Eva”, cui lo stesso titolo è un omaggio.
Almodovar con “Tutto su mia madre” riflette sul rapporto tra realtà e finzione, cosa è autentico (da ricordare il monologo di Agrado) e cosa è falso; sul travestitismo e sulla bisessualità, ma anche sul rapporto madre/padre e figlio… Questo è Un film che racconta la natura umana, sopratutto quella femminile, in maniera verosimile (secondo la definizione del regista di verosimiglianza) e mai noiosa (come in “The tree of life”).
Un capolavoro.
Giudizio: 5/5

Gli amanti passeggeri

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A causa di un errore di due incauti operatori (Antonio Banderas e Penelope Cruz in un originalissimo cameo) un Airbus della compagnia spagnola Peninsula partito da Madrid e diretto a Città del Messico ha un’avaria, e deve tentare un pericolosissimo atterraggio d’emergenza; mentre si cerca una pista libera e attrezzata per questa difficile operazione, l’aereo dovrà volare in tondo su Toledo in attesa di istruzioni.
I tre steward gay responsabili del volo, cercano di evitare il panico: dopo aver drogato tutti i passeggeri della classe turistica, cercano di intrattenere quelli della Business, convincendoli che non ci sia nulla di pericoloso.
Tra i passeggeri c’è Bruna, medium ancora vergine a causa dei suoi poteri, che ha previsto che il viaggio cambierà la vita di tutti a partire da lei stessa; il signor Mas, presidente di una banca in fuga da affari poco puliti, la cui figlia è scappata di casa; Norma, titolare di un’agenzia di escort, lei stessa amante di tutti i potenti di Spagna. Ci sono poi una coppia di sposi tossicodipendenti in viaggio di nozze, Ricardo, un attore dalla vita sentimentale disastrosa, e il misterioso signor Infante, sedicente consulente di sicurezza ed in realtà sicario poco convinto del suo lavoro.
Tra balletti, alcool e droga ciascuno dei passeggeri avrà modo di prendere in esame la sua stessa vita, e quando sul finale riusciranno finalmente ad atterrare sani e salvi, le loro vite non saranno più le stesse.
Pedro Almodovar torna alla commedia postmoderna e sporcacciona che l’aveva reso celebre (film come “Pepi, luci, bum e altre ragazze del mucchio”, “l’indiscreto fascino del peccato” e “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”) dopo film molto più maturi e impegnati (come “Parla con lei”, “Volver”, “Gli abbracci spezzati”, “La pelle che abito”).
Quindi Almodovar dirige una commedia anni ’80 con però la consapevolezza di un regista maturato negli anni, e quindi la materia viene elevata da semplice commedia a satira politica sulla situazione della Spagna: una Peninsula che gira in tondo con degli incapaci alla guida e, sedata la classe operaia per evitare rivolte, le classi dirigenti ripensano agli errori del passato.
Nel film spiccano alcuni eccessi di bravura, di sceneggiatura come il telefono che non funziona e si sente in tutto l’aereo, oppure di regia come l’atterraggio dell’aereo rappresentato in maniera anti spettacolare ma efficacissima.
Il film diverte e coinvolge lo spettatore con il suo ritmo travolgente, dai bellissimi titoli di testa animati al balletto gay degli Steward sulle note di “I’m so excited”; l’unico elemento che risulta veramente inutile ai fini della trama è il siparietto sulla vita sentimentale del playboy Ricardo.
Consigliato per passare un ora e mezza in allegria.
Giudizio: 3 e mezzo/5

La pelle che abito

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“La pelle che abito” è l’ultima fatica del grande regista Madrileno Pedro Almodovar (premio Oscar per il film straniero con “Tutto su mia madre” e Oscar alla sceneggiatura per “Parla con lei”; inoltre tra i suoi film più importanti ricordiamo “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” e “Volver”). Il film è tratto dal romanzo “Tarantola” (Mygale) di Thierry Jonquet, ha come protagonisti Antonio Banderas e Elena Anaya ed è stato presentato senza successo al Festival di Cannes del 2011.
Della trama è meglio non dire niente, per non svelare allo spettatore nessuno dei numerosi colpi di scena dai quali sarà investito.
Quando dopo circa 20 minuti vediamo un uomo vestito da Tigre che si aggira nella casa del protagonista e va ad abusare di una bellissima donna chiusa a chiave in una stanza, ci rendiamo conto di trovarci davanti ad un Almodovar al massimo delle sue capacità. Il cinema di Almodovar non è sempre di facile digestione e così anche “La pelle che abito” che è costruito su una intricata struttura a flashback su diversi piani narrativi e che segue gli sviluppi di un noir, a cui il regista vuole rendere omaggio; riuscendo però a innovare il tutto con colpi di scena incredibili, che sconvolgono letteralmente lo spettatore.
Almodovar è il regista delle passioni, dei sentimenti esagerati che vengono realizza con una messa in scena postmoderna, tendente al kitsch, al barocco e al surrealismo, come solo lui sa fare.
Almodovar inoltre cita il cinema passato con una finezza incredibile, in particolare Fritz Lang e “Dietro la porta chiusa”; ma Almodovar non cita come fa Tarantino in maniera esplicita, lui mette dei segnali, delle metafore (la casa come metafora della mente del protagonista, nelle sue stanze segrete e nei pericoli che esse contendono), dei simboli che ci ricordano l’arte dei precedenti maestri, Almodovar cita con un grande rispetto della settima arte e dei suoi artisti.
Ora sebbene la recensione di questo film sia stata difficile io vi consiglio di vederlo assolutamente se siete di animo forte, ma vi consiglio di vederlo essendo assolutamente all’oscuro sulla trama, così da non rovinarvi metà dello spettacolo.
Bruttissimo l’epilogo finale.
Giudizio: 4/5