Gli amanti passeggeri

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A causa di un errore di due incauti operatori (Antonio Banderas e Penelope Cruz in un originalissimo cameo) un Airbus della compagnia spagnola Peninsula partito da Madrid e diretto a Città del Messico ha un’avaria, e deve tentare un pericolosissimo atterraggio d’emergenza; mentre si cerca una pista libera e attrezzata per questa difficile operazione, l’aereo dovrà volare in tondo su Toledo in attesa di istruzioni.
I tre steward gay responsabili del volo, cercano di evitare il panico: dopo aver drogato tutti i passeggeri della classe turistica, cercano di intrattenere quelli della Business, convincendoli che non ci sia nulla di pericoloso.
Tra i passeggeri c’è Bruna, medium ancora vergine a causa dei suoi poteri, che ha previsto che il viaggio cambierà la vita di tutti a partire da lei stessa; il signor Mas, presidente di una banca in fuga da affari poco puliti, la cui figlia è scappata di casa; Norma, titolare di un’agenzia di escort, lei stessa amante di tutti i potenti di Spagna. Ci sono poi una coppia di sposi tossicodipendenti in viaggio di nozze, Ricardo, un attore dalla vita sentimentale disastrosa, e il misterioso signor Infante, sedicente consulente di sicurezza ed in realtà sicario poco convinto del suo lavoro.
Tra balletti, alcool e droga ciascuno dei passeggeri avrà modo di prendere in esame la sua stessa vita, e quando sul finale riusciranno finalmente ad atterrare sani e salvi, le loro vite non saranno più le stesse.
Pedro Almodovar torna alla commedia postmoderna e sporcacciona che l’aveva reso celebre (film come “Pepi, luci, bum e altre ragazze del mucchio”, “l’indiscreto fascino del peccato” e “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”) dopo film molto più maturi e impegnati (come “Parla con lei”, “Volver”, “Gli abbracci spezzati”, “La pelle che abito”).
Quindi Almodovar dirige una commedia anni ’80 con però la consapevolezza di un regista maturato negli anni, e quindi la materia viene elevata da semplice commedia a satira politica sulla situazione della Spagna: una Peninsula che gira in tondo con degli incapaci alla guida e, sedata la classe operaia per evitare rivolte, le classi dirigenti ripensano agli errori del passato.
Nel film spiccano alcuni eccessi di bravura, di sceneggiatura come il telefono che non funziona e si sente in tutto l’aereo, oppure di regia come l’atterraggio dell’aereo rappresentato in maniera anti spettacolare ma efficacissima.
Il film diverte e coinvolge lo spettatore con il suo ritmo travolgente, dai bellissimi titoli di testa animati al balletto gay degli Steward sulle note di “I’m so excited”; l’unico elemento che risulta veramente inutile ai fini della trama è il siparietto sulla vita sentimentale del playboy Ricardo.
Consigliato per passare un ora e mezza in allegria.
Giudizio: 3 e mezzo/5

La pelle che abito

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“La pelle che abito” è l’ultima fatica del grande regista Madrileno Pedro Almodovar (premio Oscar per il film straniero con “Tutto su mia madre” e Oscar alla sceneggiatura per “Parla con lei”; inoltre tra i suoi film più importanti ricordiamo “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” e “Volver”). Il film è tratto dal romanzo “Tarantola” (Mygale) di Thierry Jonquet, ha come protagonisti Antonio Banderas e Elena Anaya ed è stato presentato senza successo al Festival di Cannes del 2011.
Della trama è meglio non dire niente, per non svelare allo spettatore nessuno dei numerosi colpi di scena dai quali sarà investito.
Quando dopo circa 20 minuti vediamo un uomo vestito da Tigre che si aggira nella casa del protagonista e va ad abusare di una bellissima donna chiusa a chiave in una stanza, ci rendiamo conto di trovarci davanti ad un Almodovar al massimo delle sue capacità. Il cinema di Almodovar non è sempre di facile digestione e così anche “La pelle che abito” che è costruito su una intricata struttura a flashback su diversi piani narrativi e che segue gli sviluppi di un noir, a cui il regista vuole rendere omaggio; riuscendo però a innovare il tutto con colpi di scena incredibili, che sconvolgono letteralmente lo spettatore.
Almodovar è il regista delle passioni, dei sentimenti esagerati che vengono realizza con una messa in scena postmoderna, tendente al kitsch, al barocco e al surrealismo, come solo lui sa fare.
Almodovar inoltre cita il cinema passato con una finezza incredibile, in particolare Fritz Lang e “Dietro la porta chiusa”; ma Almodovar non cita come fa Tarantino in maniera esplicita, lui mette dei segnali, delle metafore (la casa come metafora della mente del protagonista, nelle sue stanze segrete e nei pericoli che esse contendono), dei simboli che ci ricordano l’arte dei precedenti maestri, Almodovar cita con un grande rispetto della settima arte e dei suoi artisti.
Ora sebbene la recensione di questo film sia stata difficile io vi consiglio di vederlo assolutamente se siete di animo forte, ma vi consiglio di vederlo essendo assolutamente all’oscuro sulla trama, così da non rovinarvi metà dello spettacolo.
Bruttissimo l’epilogo finale.
Giudizio: 4/5